Le alici per essere conservate vengono sottoposte alla salatura, poiché il sale ha un’azione antisettica e disidratante. Si tratta di una tecnica perfezionata nel tempo che ha reso ovunque famose e appetitose le alici salate di Cetara.
Questa tecnica a Cetara viene praticata dall’antichità, da quando cioè i pescatori di Cetara iniziarono la pesca delle alici. Naturalmente per ovvi motivi questo pesce azzurro non può essere che consumato in tempi brevissimi dalla cattura. Per cui si verificava che quando la pesca era abbondante o il mercato non richiedeva grossi quantitativi di pesce, questo era destinato ad essere ributtato in mare. L’arguzia dei pescatori ideò un metodo, quello della salagione del pesce, che consentiva loro di non vanificare gli sforzi della pesca. Spesso erano le donne del paese ad industriarsi in questa preparazione.
Il rituale consiste nel preparare le alici in grossi contenitori, decapitarle (scapezzatura) e metterle in salamoia per il tempo necessario alla prima fase di disidratazione, detta incruscatura. In seguito vengono inserite a strati in “vasetti” di creta appositamente predisposti o in barili. Ogni strato di alici viene ricoperto con sale grosso e quindi si ripete l’operazione fino a colmare il contenitore. Terminata questa operazione si provvedeva a sovrapporre un “tumpagno” cioè un pezzo di legno circolare che chiude l’imboccatura e sullo stesso vengono appoggiate della pietre, raccolte sulle spiagge del paese, che servono a pressare il tutto. Col passare del tempo questo antico rituale è stato perpetuato dalle salagioni che sono delle piccole fabbriche appositamente create per rendere il processo manuale industrializzato.
La conservazione delle alici sotto sale è stata un’attività praticata dai cetaresi anche oltre il proprio territorio, in altri centri del Mediterraneo, spinti oltre che da una maggiore pescosità di quelle acque, anche dalla prossimità di saline che consentivano un più facile rifornimento di sale. La via economica dell’Africa era fin dai tempi antichi la più sicura, più facile e la più idonea alle attività marinare: lo dimostrano l’esistenza di colonie già prima del XV secolo e la loro floridezza tra il XVIII e il XIX secolo. All’inizio del 1900 da Algeri a Courbet fino a Nemours era presente una numerosa colonia di cetaresi. La campagna di pesca si effettuava da maggio a settembre e il pescato veniva interamente salato, costipato in barili e spedito nei porti di Genova e Marsiglia.
{fastsocialshare}
A Cetara, fin dai tempi antichi, si è praticata la pesca delle alici che rappresentavano un alimento di largo consumo e il nutrimento principale delle popolazioni costiere. Questa pesca veniva praticata con un tipo di rete chiamata “menaide”. Essa era una rete disposta a corrente, lunga da trecento a quattrocento metri, alta dodici o quindici metri, formata da un solo telo a maglie tutte uguali. Le maglie consentivano alle alici piccole di passare mentre quelle più grosse rimanevano impigliate. I due estremi di questo attrezzo venivano passati mediante dei cavi a due barili vuoti che funzionavano da galleggianti. Le alici rimaste impigliate nelle maglie venivano recuperate a mano una per una. Le alici di “menaide” erano di buona appezzatura e ottime per la salagione perché quando venivano tolte dalle maglie si dissanguavano assumendo durante la maturazione sotto sale un color rosa salmone.
La rete a menaide a partire dagli anni ’20 viene sostituita dalla lampara, rete ad imbuto del tipo delle reti di circuizione con due ali o bande assicurata a due stazze di legno e formata da diverse parti che verso il sacco si continuano nella “fonda” a maglie sempre più strette. Distesa verticalmente e tenuta in superficie da sugheri, raggiunge in basso quasi i trenta metri. La rete è calata mentre un altro battello con una sorgente luminosa attira il branco di pesci che viene circuito dall’attrezzo. Al momento opportuno la sorgente luminosa viene spenta e la rete salpata. Questo attrezzo impegnativo e complesso nell’allestimento richiedeva cospicui impieghi finanziari e disponibilità di personale più numeroso ed esperto. Rappresentò un notevole progresso tecnologico per la pesca dell’acciuga e della sardina. Il termine lampara si estese anche alla barca. All’inizio la fonte luminosa della lampara veniva alimentata dal carburo, successivamente con il petrolio, poi con accumulatori elettrici ed infine da gruppi elettrogeni.
Una pesca, anche se con risultati quasi sempre scarsi, ma che richiedeva pochi soldi per praticarla era quella detta a “Sciabica” o “Sciabichiello” (parola di derivazione spagnola: jabeca, corrisponde all’arabo shabaka, che vale lo stesso, sorta di rete). Queste reti hanno lo stesso uso che si effettuava con le paranze ma la differenza consisteva nel fatto che veniva praticata da 6 a 12 pescatori. La rete veniva tenuta, per un capo dalla metà dei marinai impegnati nell'operazione, mentre con un barchino, la restante parte della rete veniva distesa partendo dalla spiaggia sempre a circuizione, per un certo tratto di mare, fino a ritornare a riva, dove l’altra metà dei pescatori raccoglieva l’altro capo e con la sola forza dei muscoli, con ritmo costante, salpavano a riva la rete, che terminava in un coppo finale dove rimaneva impigliato il pesce presente in quel tratto di mare coperto della rete. La stessa operazione ma con maglie più strette serviva a pescare il novellame di acciughe e sardine, i classici “cecenielli”.
Nel 1946 viene introdotto un nuovo sistema di pesca con reti dette a “cianciolo”, del tipo a circuizione che racchiude il branco di pesci raccolto sotto la fonte luminosa. È dotato sulla parte superiore di galleggianti e, su quella inferiore, di pesi. Compiuto il giro, il branco è racchiuso in una trappola da cui non può più uscire. A questo punto la rete viene chiusa come un sacco, agendo su un cavo d’acciaio che scorre attraverso grossi anelli che sono attaccati sul fondo. Quindi viene tirata a mano fino ad accostarla al peschereccio e con grossi coppi di rete il pescato viene issato a bordo. La pesca con questo sistema ebbe un rapido sviluppo. Le tradizionali barche delle lampare, divenute obsolete e insufficienti per dimensioni ad alloggiare questo nuovo attrezzo, furono sostituite da moto pescherecci da 20 a 40 tonnellate.
{fastsocialshare}
L’alice (nome scientifico Engraulis encrasicholus) è un pesce pelagico di piccole dimensioni e costituisce uno dei gruppi più numerosi del pesce azzurro.
È una specie che vive e si muove in branchi molto numerosi che si avvicinano alle coste nelle stagioni calde, attirati dalla presenza di plancton.
Questo pesce è molto simile ad altre specie quali l’argentina, il latterino, la sardina, lo spratto, ma si distingue da questi pesci per la diversa forma del muso, acuto e prominente e per l’apertura della bocca, situata nella parte inferiore del capo, che si estende fin dietro agli occhi.
L’alice è molto comune nei nostri mari: per buona parte dell’anno vive vicino alla costa soprattutto durante il periodo riproduttivo (aprile-settembre), mentre nelle stagioni fredde si sposta a profondità maggiori.
La sua abbondanza è proporzionale alla quantità di cibo disponibile; in Mediterraneo è abbondante in Adriatico, nel canale di Sicilia e nel Golfo di Genova. L’alice, ed il pesce azzurro in genere, è un alimento adatto a soddisfare le esigenze di tutta la famiglia, dai più piccoli ai più anziani, sia per il valore nutrizionale che per le sue carni gustose.
L’alice è considerata un pesce semigrasso; oltre all'apporto di proteine di elevata qualità, presenta una particolare composizione dei grassi, ricca di acidi grassi insaturi, fra i quali ve ne sono alcuni capaci di ridurre il livello del colesterolo nel sangue; una dieta ricca di questo tipo di alimenti allontana il rischio di malattie cardiovascolari.
Valori nutrizionali del pesce azzurro (per 100 gr. di prodotto):
Acqua: 73 gr.
Energia: 125 Kcal
Proteine: 20 gr.
Ceneri: 1,00 gr.
Acidi grassi: 4,25 gr. di cui
polinsaturi: 1,15 gr.
saturi: 1,05 gr.
monoinsaturi: 2,05 gr.
Sodio: 60 mg.